Palazzo Fortuny ospita due di queste mostre, in diversi spazi del museo:
Al primo piano nobile
Carmen Miranda e il Carnevale Brasiliano
Carmen Miranda, personaggio leggendario del cinema hollywoodiano degli anni quaranta, ha segnato la storia della canzone, della radio e del varietà musicale. Famosa per le sue acconciature baiane “tuttifrutti”, ha costituito un’icona capace di influenzare i costumi e l’immaginazione artistica, la pubblicità e la moda, via via fino alla sperimentazione visuale connessa alla cultura della cinematografia underground, da Jack Smith a Andy Warhol.
Negli spazi dell’atelier di Mariano Fortuny, il mito di Carmen si ripercorre attraverso l’esposizione di abiti di scena, gioielli, cappelli e scarpe, documenti fotografici, manifesti e film.
Accanto a questa rievocazione, si propongono i costumi del gruppo samba “Imperatriz”, diretto da Rosa Magalhàes, vincitrice degli ultimi tre Carnevale de Rio. Sono maschere e paramenti spettacolari e fantastici, raffigurazioni pagane e sacre, circondate da foreste e città immaginarie, capaci di esprimere un’intensa, gioiosa, immediata sensualità.
L’insieme della proposta espositiva esprime efficacemente una creatività complessa e opulenta che spazia dal popolare all’internazionale.
Al piano terreno
Vik Muniz e Ernesto Neto
Ai due artisti – presenti anche al padiglione brasiliano della Biennale – è dedicato il suggestivo spazio del piano terreno del museo, cui si accede da Campo San Beneto.
Muniz e Neto rappresentano l’ultima generazione di artisti del Brasile; condividono una sintonia di ricerca e uno stesso clima culturale e storico. Presentandoli insieme si offre uno spaccato dell’arte brasiliana del presente, con la stessa sensibilità e approccio all’indagine visiva, e con lo stesso profondo interesse nei confronti della reazione dello spettatore.
Neto vuole coinvolgere i sensi dei partecipanti, con le sue sculture e installazioni malleabili e penetrabili. Realizzate in lycra, imbottite di materiale fluido e fluttuante, disegnate con accessi ovoidali, simili a vagine, si configurano come specie di spazi nebulosi in cui entrare e muoversi per trovare una dimensione armonica con se stessi.
Muniz è concentrato sulla reazione dell’occhio che guarda una fotografia: vuole mettere in discussione l’illusione dell’oggettività documentaria di questo mezzo e vi riesce, rovesciando l’espressione fotografica, trasformandola in materia, mediante l’uso di materiali anomali dal cioccolato alla polvere, dal pomodoro agli scarti, dai pantoni al fil di ferro.
Entrambi quindi affrontano problemi simili, indagando sul significato profondo del “fare esperienza” attraverso la sensualità dei gesti o la lucidità dello sguardo.