Museo Fortuny

Museo Fortuny

Museo

La sede e la storia

La precisa data di costruzione del Palazzo Pesaro non è documentabile e le ricerche d’archivio eseguite non hanno dato alcun risultato sicuro. Lo studio stilistico e il raffronto con altri palazzi veneziani fanno ipotizzare l’avvio della costruzione tra il 1460 e il 1480.

Voluto da Benedetto Pesaro (1433-1503) – nobile veneziano che ricoprì il ruolo di comandante in capo della marina veneziana dal 1500 al 1503, noto per i suoi successi militari durante la seconda guerra ottomano-veneziana – l’edificio, ampliato e trasformato nel corso dei secoli, si presenta con l’imponenza della sua vasta mole con una facciata verso il rio di Ca’ Michiel e con una più estesa su campo San Beneto. Il palazzo, la cui struttura architettonica risponde pienamente alla tradizione veneziana, vanta alcune soluzioni di rilevante pregio, come le quattro polifore del primo e del secondo piano nobile, e una inusuale profondità delle sale passanti tra le due facciate, oltre 43 metri di lunghezza, che fanno di questo edificio la più vasta costruzione privata del tardo gotico rinascimentale veneziano.

Il palazzo sorge su un terreno che nel XII secolo era occupato da un edificio di culto officiato dai monaci cistercensi, mentre nel secolo successivo ospitò una costruzione con caratteristiche di casa-fondaco. Il Palazzo Pesaro inizialmente si presentava con un impianto a L, ma dopo il 1500 sicuramente vennero costruiti due stretti corpi di fabbrica che tuttora sorgono verso la calle degli Orfei. Ricordato tra i principali edifici della città da Francesco Sansovino nel suo libro Venetia città nobilissima et singolare (1581), alla morte di Benedetto Pesaro il palazzo venne ereditato dal figlio, il quale nel suo testamento impose di “non vendere, non impegnare, solo conservare e, al massimo, dividere in due abitazioni, una al primo e una al secondo piano nobile”. Verso la fine del XVII secolo la discendenza maschile dei Pesaro di San Beneto si estinse e la proprietà venne divisa in due parti: Elena Pesaro, ultima erede diretta, ne fu la principale beneficiaria. Dal 1720 al 1825 circa il palazzo risulta interamente affittato: ospitò tra gli altri la Tipografia Albrizzi, ma anche società musicali come l’Accademia degli Orfei dal 1786. In anni successivi, tra il 1834 e il 1860, un’altra associazione musicale, la Società Apollinea, trovò sede tra le mura dell’immobile, per trasferirsi in seguito presso il Teatro La Fenice. Alla metà dell’Ottocento l’edificio, come risulta dal catasto austriaco del 1842, venne frazionato in numerosi appartamenti di proprietà delle famiglie Campana, Correr, Revedin, con la conseguente creazione di nuovi collegamenti verticali e orizzontali, per ospitare circa venti nuclei abitativi e destinare alcuni spazi a uso commerciale, come ad esempio i laboratori di stampa di uno tra i più noti fotografi veneziani dell’epoca, Paolo Salviati.

Il Palazzo versava quindi in uno stato di degrado e decadenza quando Mariano Fortuny y Madrazo, attratto da questa bellezza architettonica, vi entrò per la prima volta nel 1898 occupando l’ampio salone posto nel sottotetto e stabilendovi il proprio studio. Nel corso degli anni, acquisite le altre parti dell’immobile, nel 1899, nel 1900 e nel 1906, Fortuny, pazientemente ma con costanza, iniziò il lavoro di recupero dell’edificio: liberò gli appartamenti, riadattò le stanze, fece cadere tramezzi e sovrastrutture, riportando equilibrio e proporzione.

Dopo un primo utilizzo dedicato alle sue sperimentazioni artistiche e scenotecniche, tra le pareti del grande salone dell’ultimo piano Fortuny ideò e costruì il primo modello in gesso del famoso dispositivo teatrale chiamato “Cupola”. Elesse quindi il palazzo a propria dimora e nel 1907 vi installò un piccolo laboratorio tessile assieme a Henriette Nigrin, conosciuta a Parigi agli inizi del Novecento, musa ispiratrice e compagna di altrettanta sensibilità artistica. Dopo pochi anni due interi piani del palazzo furono occupati dallo straordinario atelier per la creazione e la stampa di abiti e tessuti in seta e velluto. Mentre Mariano perfezionava i suoi studi e le sue invenzioni la moglie Henriette, con eccezionale dedizione, dirigeva il laboratorio. Interessanti fotografie documentano questo passaggio: nel salone del sottotetto campioni di stoffe grezze, recipienti e vasi di vetro con le materie prime giacciono sui tavoli da lavoro; tavoli dove, in un’altra fotografia, Henriette è immortalata dall’apparecchio di Mariano mentre si appresta a stendere il colore su una matrice di legno.

Il Palazzo Pesaro degli Orfei divenne ben presto una fabbrica. Ogni mattina, aperto il portone dal custode, gli operai e le operaie entravano nel piccolo cortile e, salita la scala scoperta, si disponevano nella sale dell’atelier, chi ai telai da stampa, chi alla finitura dei capi d’abbigliamento. Dal 1915 Mariano diede inizio alla decorazione parietale di uno dei luoghi magici dell’edificio: il giardino d’inverno e atelier di pittura al primo piano nobile. Un “giardino incantato”, animato da figure femminili, immagini allegoriche, satiri e animali esotici, pappagalli, scimmie, inseriti in un originale contesto architettonico, avviluppati da motivi floreali e vegetali, da ghirlande e da grottesche. Al secondo piano installò la sua preziosa biblioteca, ricchissima di pregevoli volumi, trovando ispirazione nel ricordo dello studio d’artista del padre e nel vissuto personale d’arte. Arredò gli interni del salone al primo piano con ricchi bagliori seducenti dell’Oriente, conciliando la ricomposizione tra l’idea dello studio d’artista paterno e la valorizzazione estetica del proprio lavoro, con stoffe stampate di sua produzione alle pareti, lampadari in seta, armature, antichi tappeti e mobili (ora parzialmente dispersi). Dagli anni Venti in poi, in quest’atmosfera permeata da suggestivo splendore orientaleggiante con reminiscenze rinascimentali, nei saloni e nelle nude stanze adibite ad atelier, laboratorio, officina, Mariano proseguì incessantemente il proprio lavoro dedicandosi alla ricerca di nuove soluzioni per le scene teatrali, alla creazione di disegni per tessuti stampati, all’ideazione di nuove fogge per l’abbigliamento, mai dimenticando però la sua grande passione: la pittura. Chi, per raro privilegio, riusciva a varcare la soglia di quei saloni non poteva che riportarne una visione estasiata. Raro, se non unico, perché in genere il portone era sempre chiuso e la severa consegna del custode era: “Il Maestro lavora”.

Dopo la morte di Fortuny, avvenuta il 2 maggio 1949, l’edificio fu donato dalla moglie Henriette nel 1956 al Comune di Venezia per essere “utilizzato perpetuamente come centro di cultura in rapporto con l’arte; il salone centrale al primo piano dovrà conservare le caratteristiche di ciò che fu lo studio preferito di Mariano Fortuny y Madrazo, con le opere, i mobili e gli oggetti che vi si trovano attualmente; l’immobile dovrà essere denominato Palazzo Pesaro Fortuny”, come espressamente indicato nell’atto notarile. L’Amministrazione cittadina di fatto ne ebbe pieno possesso nel 1965, alla morte di Henriette. Dieci anni dopo, nel 1975, finalmente si aprì al pubblico il Museo. Nel 1978 l’Amministrazione veneziana completò la proprietà acquistando l’Androne al piano terreno, conferendo finalmente integrità all’intero complesso.


 

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ITA / Mariano Fortuny e il suo Palazzo (PDF 872 Kb) – in breve
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