“Mariano Fortuny fu un grande artista moderno le cui invenzioni spaziavano dai sistemi di illuminotecnica teatrale a particolari metodi per la tintura e la stampa dei tessili- Conoscere le sue opere nelle collezioni di Palazzo Fortuny mi ha permesso di tracciare dei paralleli con la mia stessa ricerca. Questioni connesse a luce, forma, materia, struttura, serialità e arti decorative sono, infatti, al centro delle mie cure. Immagino questa mostra come un’opportunità per creare un dialogo tra opere d’arte, attraverso il tempo, con lo spirito e il lavoro di Fortuny” così Henri Foucault interpreta e spiega la sua presenza al Fortuny.
Le opere esposte al Museo Fortuny comprendono due serie diverse (Sosein e Satori) di composizioni di immagini fotografiche, centrate sui temi diversi della corporeità, bucate da punzoni o ridefinite da un fitto strato di spilli d’acciaio ad esse sovrapposto. Il lavoro è sulla percezione della luce, sulla ridefinizione del senso del volume, sul rapporto tra bidimensionale e tridimensionale, tra forma e struttura, e ancora sul rapporto tra scultura e fotografia.
Spesso, ciò che si cerca nella rappresentazione fotografica dei corpi e delle cose è la massa piuttosto che i contorni; la pesantezza piuttosto che l’evanescenza, la modulazione volumetrica piuttosto che l’allungamento diafano delle superfici.
Però, Henri Foucault sapeva da lungo tempo, che la fotografia ha anche l’innegabile dono di magnificare la materia, di potersi cimentare col problema dello spazio, della forma e della serialità della rappresentazione. Dall’apparente conflitto tra il lento sviluppo di un volume e la fulmineità dell’atto fotografico, sorge la possibilità di fondere i concetti dello scolpire e del fotografare. Sosein e Satori, le due serie qui presentate, sono quindi l’approdo temporaneo di questo incontro e del superamento radicale delle tradizionali categorie artistiche.
Fotografare poi scolpire, è in questo ordine che si eseguono le operazioni. Il punto di partenza è il modello, il corpo, che, con una tecnica particolare, risulta nell’immagine fotografica allungato, i dettagli eliminati in favore di un campo luminescente, il contorno sfocato privilegiato rispetto ai contorni netti.
A questa rappresentazione spettrale del reale, a questo fantasma di corpo, malgrado tutto così presente, Henri Foucault, dà una nuova dimensione, scolpendola.
Con Sosein, (iniziato nel 2000), l’azione ulteriore consiste nell’intervenire sulla carta fotografica, bucandola con un effetto di trama seriale e ingrandita, tentativo di sottrazione della materia come nell’atto dello scolpire. Le prove fotografiche, sovrapposte, non allineate una rispetto all’altra, presentano un effetto di ricerca del riflesso, una vivacità tra un fondo nero e il bianco delle impressioni corporali.
L’azione principale dei Satori, la seconda serie iniziata nel 2002, non è di sottrazione ma di aggiunta, di accumulazione. I fotogrammi dei corpi sono invasi da migliaia di spilli dalle capocchie scintillanti, che ridefiniscono il modello grazie alla vibrazione luminosa che ondula la superficie di questa epidermide metallicamente risplendente. Il titolo scelto, Satori, proviene da un riferimento di Roland Barthes alla cultura Zen, e che sta per illuminazione della coscienza, brivido della lucidità.
Illuminazione, scossa, brivido, sono gli elementi che mettono alla prova la materia fotografica quando accetta il rischio della scultura.
Erede della storia delle arti, espone dei conflitti ragionati tra lo spessore delle cose e la superficie illusionista della rappresentazione. Opera fisicamente inquietata dal mondo reale, coniuga la stabilità e la leggerezza. Brillantemente studiata, alterna il lavoro e il sogno.