Ventuno nature morte di Giorgio Morandi (Bologna,1890 -1964), in parte inedite e provenienti da collezioni private. Dipinti ” silenziosi e dimessi” i cui colori “ vibrano di una luminosità un po’ appassita che sembra venire dall’interno.. una pittura che si colloca mirabilmente nello spazio percettivo e mentale che sta fra il visibile e l’invisibile” (Francesco Poli, dal catalogo della mostra.)
Un’occasione straordinaria e unica, dunque, per dar vita a un insieme di assonanze e rimandi: da un lato, sul piano della ricerca formale, con la minuziosa accuratezza di Fortuny, dall’altro con gli “spazi metafisici” di Tirelli, esposti al primo e al secondo piano.
A cura di Daniela Ferretti in collaborazione con Franco Calarota.
Catalogo Skira
<*>
Attraverso un’accurata selezione di opere raramente esposte che coprono un arco di tempo che va dal 1921 al 1963, la mostra vuole immergere il visitatore nello stesso silenzio meditativo che Giorgio Morandi riservava alla realizzazione dei suoi dipinti.
Il visitatore è invitato ad addentrarsi nel dipinto per trovare una personale chiave di lettura, fosse anche solo quella di interrogarsi sul significato di quei vasi e di quelle bottiglie, di quegli oggetti sempre uguali, ma sempre diversi, che sono il codice, l’alfabeto espressivo dell’artista. Il tentativo è quello di favorire, tra l’opera e lo spettatore, un dialogo privo di filtri e di parole, nella consapevolezza che il silenzio morandiano non si presta a un’interpretazione univoca e può essere di volta in volta letto e sentito in maniera differente:nnon uno ma più “Silenzi”, tutti possibili fil rouge della sua opera.
Del resto intorno a questo tema la critica morandiana si è espressa da sempre. Arnaldo Beccaria (1939) racconta della preparazione ascetica a ogni opera “fatta di digiuni, di silenzi, di mortificazioni del colore” in cui “l’arte è l’espressione dell’abito morale dell’artista” e di quelle “note di colore che si compongono nel silenzio del dipinto; e quel silenzio è acceso di una musica intensa e segreta” che chiude l’opera “in un ordine assoluto” dove “tutto è equipartito, secondo un connaturato calcolo, acutissimo e infallibile, una sublime equazione” dove quei colori bruciano “come un incenso inconsumabile sacrificato al silenzio”. Secondo Francesco Arcangeli il maestro “sembra rendere, forse inconsapevolmente, col suo silenzio il supremo omaggio di un umanista ormai disperato a un’immagine dell’uomo per ora irrestituibile”. Roberto Longhi suggerisce di cercare il silenzio nell’armonia e nell’equillibrio di quegli oggetti che nascondono una realtà più profonda dello loro apparenza. Ma è Castor Seibel che evidenza come la pittura di Morandi esprima “ciò che le parole non possono mai dire, cioè una poesia pittorica che esteriorizza l’inafferrabile”. E precisa come il silenzio sia evidente anche agli occhi nell’opera del maestro quando sostiene che “Morandi riesce a metamorfosare il silenzio, assenza di suoni, in un fenomeno visivo: la luce del silenzio”.