Nel percorso espositivo, i temi proposti si sviluppano in modo ascendente a formare un viaggio simbolico in bilico costante tra realtà e finzione.
Al piano terra del museo, squarciando un quotidiano che la società vuole scintillante, con i palloni argentei dell’opera di Philippe Parreno Speech Bubbles (Silver) e le bolle di sapone del video Imagineering di Ryan Gander, ci viene svelato l’urto profondo dell’esistenza attraverso le macerie di guerre e conflitti.
Accanto alle opere degli anni Settanta di Alighiero Boetti, o degli americani Robert Longo e Martha Rosler troviamo lo sguardo e la voce degli artisti mediorientali. Kader Kattia con Open your Eyes, fa suo il soggetto tragico della Prima Guerra Mondiale; Walid Raad, racconta la guerra attraverso gli occhi sorpresi e ingenui d’un bambino. Il culmine è nell’opera dello svizzero Thomas Hirschhorm Break-through (three): un’allegoria dei disastri della guerra simula il soffitto sventrato di Palazzo Fortuny dopo un bombardamento. Sarà compito dei lavori dissacranti di Gino de Dominicis – che rimandano all’idea dell’immortalità insita nel concetto stesso di collezione – esorcizzare la morte.
Dopo la parentesi del mezzanino, con l’idea della solitudine dell’uomo d’oggi, sviluppata dai lavori del tedesco Franz Erhard Walther, si sale; ed è la fatica nella conquista della propria identità al centro dei dialoghi innestati dai curatori tra le opere della collezione Righi e la casa-atelier di Mariano Fortuny, al piano nobile del palazzo.
Identità interiore e identità sessuale, con le sue estensioni al concetto di amore di cui si rappresentano le molteplici declinazioni nelle differenze – sia come percorso personale che sociale o politico – ma anche la ferocia e il concetto d’eternità. Da People di Dorothy Iannone, dalle Faccine di Alighiero Boetti (la presenza di questo artista è una costante in tutto il percorso espositivo) si passa alle suggestioni di Cy Twombly, Jana Sterbak, Candida Höfer, Berlinde De Bruyckere, Markus Schinwald, Victor Man, Joan Jonas, Yann Sérandour, Anna Mendieta; fino alle provocazioni di Nan Goldin, ai Self Portrait of you + Me di Douglas Gordon, con i volti bruciati dei miti di Hollywood; all’opera sconcertante 100 Jahre di Hans-Peter Feldmann che, in 101 ritratti fotografici in bianco e nero, mostra l’inesorabile scorrere del tempo e la fugacità dell’esistenza dalle poche settimane di vita ai cent’anni; o – ancora – al mito dell’eterno amore tra Adriano e Antinoo nell’opera di Francesco Vezzoli, che ritrae sé stesso nel volto dell’Imperatore.
Il percorso, fattosi già più intimo al piano nobile – costellato anche di tanti libri d’artista che connotano in modo particolare la collezione di Enea Righi e che arricchiscono anche gli ambienti successivi, sintesi estrema di riflessione sull’arte – si rarefà ulteriormente al secondo piano, ove si dà spazio all’architettura utopistica, alla ricerca del mondo come dovrebbe essere e ai grandi esponenti dell’architettura rasdicale. Fino all’ultimo piano, dove Carlos Garaicoa e il suo grande tappeto che riprende la scritta El Pensamiento apre la sala accanto all’opera neon di Peter Friedl: Io posso trovare fantasie dove non c’è nessuno.
Ecco: è forse nell’idea, nel pensiero, che la metafora della caducità della neve trova la sua risposta: ciò che può sopravvivere è l’eredità spirituale racchiusa in questa e nelle altre vere collezioni. Così che il bianco resti abbagliante nei luoghi dello spirito.
La mostra “Quand fondra la neige, où ira le blanc” è accompagnata da un catalogo/objet d’art con numerosi testi critici, progettato da Alessandro Gori-Laboratorium e sviluppato come un percorso espositivo complementare: due percorsi – quelli della mostra e del progetto editoriale – che si riflettono l’uno nell’altro, ma volutamente non coincidono. Nel volume i differenti nuclei della collezione Righi non sono catalogati rigidamente, ma raccolti in fascicoli che ciascun lettore potrà liberamente disporre in sequenza: vi si potranno leggere così le molteplici anime della raccolta e i suoi tempi storici, ma anche quei significati intimi, che per loro natura sono impossibilitati a essere racchiusi in una struttura rigida.