La grande installazione è paragonabile a un organismo vivente dai cui pori permeabili emana un’intelligenza diffusa, un’energia che si trasforma: quella della materia in luce, quella del suono in fonti multiple in movimento.
È un percorso a ritroso, fino alle origini primarie della vita ma anche dell’ispirazione dell’artista, che coinvolge il visitatore in una dimensione onirico-immaginativa.
Forme primitive ed eterne, le opere riempiono lo spazio espositivo evocando abissi oceanici e siderali, immerse in un movimento accelerato come d’acqua, di plancton, di pulviscolo di pianeti.
Un universo visionario ma ordinato da un sottile equilibrio, in cui lo spettatore si immerge entrando nel lessico dell’artista.
L’idea unificante che emerge da questo modo di “raccontare” di Maria Grazia Rosin è che ogni organismo è la sintesi finale di un affascinante processo di metamorfosi consequenziali, mentali e non, dal naturale all’artificiale: il genius loci di Palazzo Fortuny, quindi, di nuovo ispira e suggerisce una Wunderkammer, materiale e metaforica.