Al volgere del secolo scorso a Venezia, il lavoro di Mariano Fortuny (1871-1949) rappresentava un insieme di passato e presente, una mistura di motivi medievali e classici , ispirati sia dalle forme naturali che dalle geometrie orientali e ottenuti anche con l’applicazione di tecnologie all’epoca emergenti nel campo della fotografia e della stampa. Dalle sue botteghe e dalla sua biblioteca scaturì una ricca fusione di stili; il suo “studio d’alchimista” fu frequentato da artisti, celebrità e scrittori del tempo, tra i quali Marcel Proust.
Ancora oggi Palazzo Fortuny conserva intatto il suo fascino e lo spirito di Mariano in qualche modo è presente in un momento, come quello attuale, in cui , come allora, tecnologia e scienza consentono nuovi modi di vedere e nuove prospettive per la creatività.
Proprio quest’approccio ibrido a un’arte legata alla tradizione ma aperta alla sperimentazione e alla tecnologia è la base dell’ispirazione del lavoro di Bottomley, gioielliere contemporaneo.
Storicamente, l’oreficeria è sempre stata associata alla moda ed ai tessuti. La gioielleria contemporanea attribuisce più valore alla creazione che al materiale utilizzato, sviluppando un linguaggio più teoretico e concettuale che legato al valore intrinseco del metallo, mantenendo la funzione di ornamento delle vesti e del corpo.
I disegni di Bottomley nascono da un accurato studio dei motivi e delle matrici tessili di Fortuny; diventano disegni di gioielleria attraverso l’applicazione di tecnologie come scanning digitale, ingegneria inversa, fototipia rapida, incisione fotografica, incisione e taglio a laser.
I successivi processi produttivi, lenti e meticolosi, consentono un fine equilibrio tra “vecchio/nuovo”, “passato/presente” in cui la fredda esattezza digitale si stempera in un lavoro artigianale in cui perfezione e precisione, comunemente associate ai progetti realizzati al computer, sono intenzionalmente evitate.