Primo piano, la Casa Museo
IL GIARDINO D’INVERNO
La sala stupisce per l’inaspettato ciclo parietale: opera voluta e realizzata da Mariano Fortuny che per questo progetto inventò una speciale intelaiatura di carta incollata su teli di canapa dipinti e fissati alle pareti. La composizione copre tre lati della stanza, per una superficie totale di circa 140 metri quadrati. Iniziata nel 1915, fu completata negli anni Quaranta. Sostenuta dall’artificio del trompe-l’œil e da un’armoniosa stesura di colori, la creazione conferisce allo spazio una grande luminosità. Un ideale “giardino incantato” animato da figure allegoriche, satiri e animali esotici: tutti ambientati in una loggia corinzia “alla Veronese”, arricchita da lussureggianti motivi vegetali, rigogliose ghirlande e raffinati drappi.
Al centro della sala si formano idealmente due ambienti. Chi entra dal Portego può ammirare i dipinti appartenenti al ciclo dedicato ai Quattro Elementi – Aria, Terra, Fuoco, Acqua – sicuramente realizzati alla fine degli anni Quaranta: un tema legato all’iconografia classica, molto caro all’artista che lo utilizza ripetutamente in una libera interpretazione espressiva ispirata dalla letteratura e dall’ideale simbolista. Nella seconda parte della sala, superato l’architrave, a fianco dell’Abbraccio di Siegmund e Sieglinde dalla Valchiria di Richard Wagner, si scopre il modello del Teatro delle Feste progettato da Mariano Fortuny nel 1910 in collaborazione con Gabriele d’Annunzio e l’architetto francese Lucien Hesse. Un’autentica sintesi della sua poetica teatrale. Il progetto, mai realizzato, doveva sorgere all’Esplanade des Invalides, grazie al sostegno economico di due tra i più noti e ricchi personaggi di Francia dell’epoca: il barone Maurice de Rothschild e il senatore Deutsch de la Meurthe, a cui si sarebbe aggiunto l’impresario Josè Schürmann.
L’ATELIER
In questa sala d’angolo, illuminata da tre finestre gotiche, Mariano Fortuny è presente con una serie di dipinti, compreso un autoritratto. La pittura ha sempre ricoperto un ruolo primario nella vita dell’eclettico artista, ed è per questo motivo che si è voluto ricreare uno spazio dove idealmente lo incontriamo: seduto con la tavolozza e pronto a dipingere, rivolto alla dormeuse in attesa di accogliere la modella. Figlio d’arte, privilegiato da una formazione internazionale e da frequentazioni come quella in età precoce dell’atelier parigino di Benjamin Constant, affascinato dal simbolismo nordico, Mariano Fortuny elabora tutto questo con estrema originalità e sintesi. Appesi alle pareti vi sono dipinti di nudi femminili, tele preparatorie del ciclo dedicato ai Quattro Elementi e rappresentazioni di Allegorie: qui l’artista sperimenta e perfeziona soprattutto la pratica del disegno e l’uso del colore. Al centro della sala tre monumentali calchi in gesso, copie del Torso del Belvedere e dal Fregio del Partenone: la testa di un cavallo e il busto di Ilissos, dio del fiume. Autentica forma d’arte, il nudo per Fortuny, come per tutti gli artisti accademici, è un esercizio fondamentale per assimilare, attraverso gli studi di anatomia, la lezione classica. Sul tavolo poggiano modelli in gesso ed esempi anatomici cui egli si ispirava, pur con visionaria modernità.
La pittura per Mariano è il mezzo più importante per scoprire soluzioni innovative utili nelle discipline come la scenografia, la fotografia e la stampa su stoffa. Proprio per questo Mariano Fortuny approfondisce le ricerche sugli impasti di colore e sulle tecniche pittoriche fin dagli anni giovanili. Nel 1933 deposita un marchio “per attrezzi e colori per artisti in pittura e scultura”, che porterà alla commercializzazione delle “Tempere Fortuny”. I colori prodotti a Palazzo Pesaro degli Orfei sono quarantasei, più quattro da utilizzare per le preparazioni, messi in commercio e confezionati in tubi di varie dimensioni. Tempere ampiamente utilizzate ed elogiate da pittori, decoratori e restauratori suoi contemporanei, italiani e stranieri, sulla cui composizione Mariano ed Henriette manterranno sempre il più rigoroso riserbo. “Mi sono sempre interessato a molte cose diverse, ma il mio vero mestiere è sempre rimasto la pittura: dipingo dall’età di sette anni”.
LE ORIGINI SPAGNOLE
Nella formazione artistica di Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949) il contesto familiare d’appartenenza riveste un ruolo di primaria importanza. La madre era Cecilia de Madrazo y Garreta (1846-1932), esponente di una tra le famiglie più influenti del panorama artistico e culturale dell’Ottocento, sia spagnolo che internazionale. I Madrazo furono pittori, accademici e letterati di alto prestigio: dal capostipite José de Madrazo y Agudo (1781-1859), bisnonno di Mariano, fino ai suoi zii materni, i fratelli Raimundo (1841-1920) e Ricardo Madrazo y Garreta (1852-1917). Quando nel 1867 Cecilia, figlia di Federico de Madrazo y Kuntz (1815-1894), sposò Mariano Fortuny y Marsal (1838-1874), questi era già riconosciuto come figura artistica “unica” e di rilievo del suo tempo. Personaggio cosmopolita e dalla personalità poliedrica, Marsal seppe eccellere in un’ampia varietà di tecniche artistiche. Tra gli aspetti che resero peculiare la sua breve vita emergono assonanze con la creatività del figlio Mariano: la pratica della pittura, lo studio e la copia dei grandi maestri, l’attenzione alla luce, la fascinazione per la rappresentazione delle nuvole, l’applicazione in molteplici campi artistici, la perizia tecnica nelle arti minori, la passione per i viaggi, il gusto collezionistico, l’attrazione per l’orientalismo.
In questa prima parte del grande salone, il Portego, al primo piano, si è voluto sottolineare quanto i Madrazo e i Marsal siano stati testimoni, nell’ultimo quarto del XIX secolo, di uno dei periodi più intensi della pittura spagnola. A questo mondo intellettuale e artistico Mariano resterà sempre profondamente legato e cercherà di mantenere i contatti con la sua patria natale, accettando cariche e titoli come quelli di viceconsole di Spagna (1917), commissario del Padiglione spagnolo alla Biennale d’arte di Venezia (dal 1922 al 1942), console onorario di Spagna con giurisdizione del Veneto, a esclusione del distretto di Verona (9 dicembre 1924), membro della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid (14 dicembre 1948).
IL VIRTUOSISMO DELLA PRODUZIONE TESSILE
Mariano Fortuny soffrì amaramente per lo scoppio della guerra civile spagnola (1936-1939) e per le innumerevoli morti provocate da quel conflitto. Tra i caduti illustri ci fu Fernando Fernández de Córdoba y Pérez de Barradas, quattordicesimo duca di Lerma, che perse la vita negli scontri di Madrid del 10 settembre 1936. In sua memoria, su commissione della vedova Marı́a Luisa Bahı́a y Chacón, Fortuny realizzerà uno straordinario corredo funebre, oggi conservato a Toledo presso l’Hospital de Tavera. Il grande telo, su cui campeggiano gli stemmi nobiliari, è abbinato a un altrettanto sontuoso cuscino. Il lavoro venne eseguito nel 1939 e utilizzato per le esequie del duca celebrate a Toledo il 3 luglio 1940. Il Museo Fortuny ne conserva gli esemplari preparatori che, assieme a una dalmatica in velluto nero stampata in oro e argento con motivi ispirati al Rinascimento Veneziano, rappresentano alcuni tra gli esempi più significativi e spettacolari della produzione tessile dell’atelier. Qui la decorazione raggiunge livelli di altissimo virtuosismo esecutivo, sostenuto dal superamento dell’ispirazione rinascimentale attraverso una rielaborazione e contaminazione di stili che rendono questo corredo funebre unico e irripetibile.
Un’abilità che Mariano conferma anche nella realizzazione degli abiti per l’Otello di Giuseppe Verdi, andato in scena il 18 agosto 1933 nel suggestivo cortile di Palazzo Ducale a Venezia con la compagnia di Kiki Palmer per la regia di Pietro Sharoff. La decorazione dell’ambientazione scenica, i costumi degli interpreti – quello di Otello espressamente disegnato da Mariano – e delle quattrocento comparse vennero realizzati con le stoffe Fortuny. Due esemplari si possono ammirare proprio vicino al corredo funebre. Questi mantelli con cappuccio citano alcuni abiti presenti nel telero del Miracolo della Croce a Rialto (o Guarigione dell’ossesso) di Vittore Carpaccio, ricordando le assidue frequentazioni di Mariano alle Gallerie dell’Accademia.
IL MONDO DI MARIANO
Dopo alcuni soggiorni veneziani, tra il 1888 e il 1889, il trasferimento nella città lagunare della famiglia Fortuny diviene definitivo. La residenza prescelta è Palazzo Martinengo, luogo privilegiato di cenacoli dell’intellighenzia cosmopolita del tempo. Meta imprescindibile di collezionisti e mercanti, artisti, letterati e musicisti quali Martin Rico, José Maria Sert, Ignacio Zuloaga, José Maria de Heredia, Isaac Albéniz, Henri Lavedan e ancora Marcel Proust, Henri de Régnier, Paul Morand, Reynaldo Hahn e Daniela Thode. Già prima però durante i precedenti soggiorni veneziani tra il 1887 e il 1888, Mariano Fortuny aveva seguito gli studi di pittura frequentando i corsi serali all’Accademia di Belle Arti ed entrando in contatto con i circoli artistici e intellettuali della città: Pietro Selvatico, Pompeo Molmenti, Antonio Fradeletto, Cesare e Raffaele Mainella, Cesare Laurenti, Ettore Tito, Mario De Maria, Angelo Conti.
Se l’opera pittorica di Fortuny di fine Ottocento trova corrispondenza nell’arte del suo tempo, la successiva produzione risulta impermeabile alle avanguardie di inizio Novecento. Egli rimane fedele a un linguaggio pittorico tradizionale, ma intelligentemente non ignora le suggestioni del liberty e del simbolismo nordico. Ecco, quindi, che in questa parte del salone sono visibili diversi ritratti di Henriette Nigrin a firma dello stesso Mariano, alcuni realizzati per la Biennale d’arte di Venezia, ma anche opere di altri artisti come il Ritratto di Riccardo Selvatico di Alessandro Milesi o Zia Luisa di Ignacio Zuloaga e il ritratto a figura intera della Contessa Anna Morosini di Lino Selvatico. Dal 1899 al 1942 Fortuny parteciperà con i suoi dipinti a undici edizioni della Biennale di Venezia che, dopo la sua morte, nel 1950 gli dedicherà una mostra retrospettiva.
SALA COLLEZIONISMO
Le importanti raccolte antiquarie della famiglia Fortuny – tessuti, vestimenti, arazzi, tappeti, vetri, vasellame, maioliche, armi e armature, statue, mobili, tappeti costituiscono parte fondamentale dell’eredità intellettuale, spirituale ed economica di Mariano. Un incredibile patrimonio che oggi giunge a noi depauperato, ma non per questo meno rilevante, a farci comprendere quanto l’immaginario di Fortuny ne fu influenzato. In questa sala si è voluto ricostruire, anche con l’ausilio di oggetti provenienti dalle raccolte civiche veneziane, un nucleo collezionistico dedicato in particolare alla tradizione dell’antica armeria: alabarde, corazze, scudi, elmi e spade che testimoniano gli interessi collezionistici di Fortuny, ma anche il suo legame con il padre, morto prematuramente quando Mariano aveva solo tre anni. Per entrambi il collezionismo fu pratica di conoscenza e approfondimento, ma anche fonte di ispirazione e strumento di lavoro.
Gli oggetti d’arte e di antiquariato furono ampiamente utilizzati sia dal padre che dal figlio come elementi di decoro del loro atelier e come suggestione per i loro dipinti, in cui sono spesso inseriti, trasformati o reinterpretati. Mariano Fortuny dimostrerà infatti, una sensibilità molto simile al padre nel modo di raccogliere, studiare e rielaborare gli oggetti più svariati per la sua casa. I costumi per l’Otello realizzati da Mariano, presenti in questa sala, ricordano la passione collezionistica della madre Cecilia de Madrazo y Garreta che aveva una straordinaria raccolta di abiti e tessuti (in parte esposti al secondo piano). Da questi Mariano deriva certi suoi motivi decorativi, prediligendo quelli rinascimentali che fa rivivere grazie alla sua tecnica di stampa su velluto e cotone.
MAESTRI
La copia da dipinti di grandi maestri è un esercizio ricorrente nella formazione di ogni artista. Cosı̀ anche per Mariano Fortuny. Cresciuto nell’ambito della tradizione accademica di fine Ottocento, Mariano viene avviato alla pratica della pittura già in giovane età durante gli anni parigini (1878-1888), sotto la guida dello zio materno Raimundo de Madrazo y Garreta (Roma 1841 – Versailles 1920). Ideale maestro è il padre Marsal, scomparso giovanissimo a trentasei anni, valente pittore che praticò l’arte della copia realizzando riproduzioni di qualità ineguagliabile dai suoi contemporanei, prediligendo, tra gli artisti veneziani, Tiziano, Tintoretto, Veronese, Tiepolo, e poi Ribera, Velàzquez, Murillo, ma soprattutto Goya.
In quegli anni Mariano incontra, quali abituali frequentatori della residenza parigina dei Madrazo, artisti come Ernest Meissonier, Jean-Léon Gérôme, Paul Baudry, James Tissot, Léon Bonnat, Emmanuel Fremiet, Alfred Stevens, Georges Clairin, Giovanni Boldini e Benjamin-Constant. Nello studio di quest’ultimo Mariano apprende i principi fondamentali della pittura tradizionale. L’esercizio della copia è una costante nella sua vita artistica. Tra gli autori preferiti: Tiziano, Tintoretto, il pittore più amato con ben undici copie, Tiepolo e Rubens. Accanto ai dipinti, dentro un antico armadio si può ammirare un prezioso piviale, ampia veste liturgica la cui decorazione è realizzata attraverso una speciale tecnica brevettata nel 1909-1910 da Mariano che in questo caso si ispira, accogliendone la suggestione stilistica, a moduli decorativi rinascimentali.
SALA MODA
Nella moda e nei tessuti Mariano Fortuny esprime la sua più alta vena creativa e nel 1907 questa sua passione si traduce in una vera attività. Ricorderà lo stesso Mariano: “Antichi frammenti tessili stampati, ritrovati in Grecia, mi hanno fatto venire l’idea di studiare delle tecniche di impressione su stoffa, cosı̀ assieme a mia moglie abbiamo fondato in Palazzo Orfei un atelier per la stampa secondo i nostri metodi”. Il 24 novembre 1907, a Berlino, Mariano presenta lo scialle in seta stampata Knossos, indossato per l’occasione da Ruth St. Denis (1879-1968), ballerina e coreografa statunitense, pioniera della danza moderna. Si tratta di un rettangolo di seta lungo quasi cinque metri e largo poco più di un metro, caratterizzato da motivi decorativi di stile minoico antico, stampati con l’inedito sistema fortunyano. Questo velo poteva essere indossato in diversi modi: come copricapo oppure morbidamente avvolto attorno al corpo, come si può ammirare nel dipinto qui esposto di Mariano Fortuny che ritrae la moglie Henriette Nigrin.
Nel 1909 e 1910 Fortuny brevetta due tecniche di stampa e realizza una delle sue creazioni più note: il Delphos, veste in seta di forma semplice ed essenziale, ispirata alla statuaria ellenistica. Nato da un’idea di Henriette, l’abito si presenta come una tunica monocroma, caratterizzata da finissima plissettatura. Sagomata da fettucce interne, poggia sulle spalle e cade liberamente fino ai piedi, mentre lo scollo e le maniche sono regolabili da coulisse in cordoncini di seta arricchiti da perle di vetro di Murano. Solitamente il Delphos veniva indossato con una cintura di seta stampata e lo si poteva abbinare con altre produzioni Fortuny, come lo scialle Knossos, le sopravvesti in garza di seta o le giacche e le mantelle in velluto di seta stampato. Molte altre sono le tipologie di capi su cui si focalizza la produzione dell’atelier Fortuny: vesti, casacche, cappe, caftani, abaya, djellabba, burnus che, realizzati con tecniche a stampa brevettate dallo stesso Mariano, danno forma a un peculiare e moderno linguaggio stilistico, esito di una colta e raffinata rielaborazione di suggestioni tratte da epoche e culture differenti.
SALA WAGNER
Mariano Fortuny e Richard Wagner non si conobbero. Il compositore di Lipsia muore a Venezia il 13 febbraio 1883 quando Mariano Fortuny non ancora dodicenne. Bisognerà attendere il 1889 perché scatti quella passione che legherà per sempre Mariano a Wagner. In quello stesso anno che la madre, Cecilia de Madrazo y Garreta, acquista a Venezia Palazzo Martinengo per risiedervi assieme al figlio e alla figlia Maria Luisa. In questa residenza veneziana Mariano incontrerà l’intellettuale, critico e funzionario delle Belle Arti Angelo Conti (Roma 1860 – Capodimonte 1930) con cui condividerà l’ideale filosofico wagneriano.
Da quel momento, all’età di diciannove anni, Fortuny comincerà a dipingere il ciclo di opere dedicate ai temi del grande compositore tedesco, con una predilezione per i drammi musicali di Parsifal, la tetralogia dell’Anello del Nibelungo e I maestri cantori di Norimberga. Se, insieme a Conti, Mariano Fortuny plaude all’ideale wagneriano, soprattutto con il pittore e incisore spagnolo Rogelio de Egusquiza (Santander 1845 Madrid 1915) – il quale aveva conosciuto il compositore tedesco e ne aveva eseguito vari ritratti – che condivide l’amore per la sua musica. Nel 1891 Mariano va al Bayreuther Festspiele, esperienza che replicherà nel 1892, (anno in cui Egusquiza presenterà alla famiglia Fortuny la vedova di Wagner, Cosima) e poi ancora nel 1894 e nel 1896. I dipinti alle pareti testimoniano come l’interesse per l’iconografia wagneriana abbia portato Mariano Fortuny ad allontanarsi dall’accademismo della formazione iniziale in favore di un sostanziale avvicinamento agli stilemi del simbolismo nordico, come appare chiaramente in alcuni di questi quadri risalenti agli anni Novanta dell’Ottocento. C’è una sospesa inquietudine nell’interpretazione wagneriana di Fortuny che con la sua vibrante pennellata riesce a trasmettere le peculiarità caratteriali dei personaggi. Wagner, per Mariano, più di una fonte ispiratrice: è l’origine delle sue ricerche e delle sue invenzioni nel campo della scenografia e della scenotecnica, che con eccezionale e coerente lungimiranza porterà avanti per tutta la vita.
Foto © Massimo Listri
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ITA / Mariano Fortuny e il suo Palazzo (PDF 872 Kb) – in breve
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